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THE DOORS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 novembre 1991
 
di Oliver Stone, con Van Kilmer, Meg Ryan, Kyle MacLachlan (Stati Uniti, 1991)
 
La riuscita di PLATOON, il film più celebre e più riuscito di Oliver Stone era dovuta ad una bella trovata: poiché il Vietnam - parola di un reduce che non ve ne parla solo per sentito dire - non è quella fabbrica di eroi che vi hanno raccontato, eccovi un film nel quale lo spettatore non può identificarsi in un personaggio. Ma in una situazione. Pur restando questa volta incollato al mitico eroe dell'underground Jim Morrison, incaricato di spazzare una volta per sempre i sogni dei figli dei fiori, THE DOORS continua ad essere ciò che erano i film precedenti di Oliver Stone: delle leggende filmate.

Era John Ford a dire: " se la leggenda è più grande della realtà, allora filmate la leggenda! ". Il guaio, per uno straordinario verista come Oliver Stone è di essere assai più abile a filmare la realtà che non la leggenda. PLATOON era grande perché, filmando la realtà della giungla, il regista raggiungeva l'astrazione, la paura fisica che si mutava in inquietudine, in angoscia, e quindi in dubbio e contestazione. Se THE DOORS è meno riuscito di PLATOON è perché, filmando l'astrazione (i sogni all'acido ed all'alcool di qualcuno che tenta di tradurre i propri eccessi esistenziali in espressione artistica, che fa della propria morale una mistica dello sregolamento dei sensi; della coscienza della propria carica sessuale e trasgressiva la possibilità di raggiungere un'armonia cosmica) Stone da prova di indubbio virtuosismo, di padronanza del mezzo cinematografico ma non proprio di commozione. Di emozione, forse, da parte di qualcuno che ci crede: ma non di poesia. Mentre riesce a far vivere il suo film prepotentemente quando si "limita" a registrare il concreto: la presenza in scena dei musicisti, l'energia provocatoria che nasce dalla musica e dalla gestualità dei musicisti, il pubblico in delirio che tenta di travolgere la schiera dei poliziotti, la carica sensuale, clamorosamente ostentata del suo protagonista (Val Kilmer che s'investe nel personaggio con straordinario mimetismo); o ancora, la violenza con la quale il sistema reagisce alle provocazioni del gruppo e del suo leader.

THE DOORS non è allora tanto un film sul celebre gruppo rock che cosi puntualmente traduce lo spirito underground della fine degli anni Sessanta: dopo i beatniks, la contestazione studentesca e gli esperimenti con le droghe. Ed in pieno trauma del Vietnam. Ma un film sul loro leader e sul fascino che esercitava sulle masse: non tanto - ahimè - per il carattere ambiguo o demoniaco dei testi che proponeva (ispirati a William Blake, Huxley, Celine, Rimbaud, Artaud), quanto per una presenza anticonformista e provocatoria, tutta giocata su una sensualità ai limiti dell'esibizionismo e del narcisismo.

Stone organizza sulla deriva di Jim Morrison il suo film, che in questo senso acquista una coerenza ed una determinazione che potevano anche non essere evidenti. La sceneggiatura nasce e muore con lui, con un pregio evidente: quello di non identificarsi nel personaggio. E, quindi, di non eroicizzarlo assieme a tutto il suo bazar psichedelico. Conservando - in tutto quel naufragio - una costante lucidità che gli permette di essere critico nei confronti di ciò che osserva, Stone dimostra di essere ciò che già sapevamo, un cineasta maturo. Impedendosi di entrare in un personaggio che occupa pur sempre la totalità dello schermo si chiude però al delirio, a quell'ipnosi dell'immagine che sola avrebbe potuto tradurre in termini poetici il viaggio di Jim Morrison nei territori compiaciuti e disperati della trasgressione.


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